Il nuovo assetto societario della Reggiana


  • Il nuovo assetto della Reggiana  pone una riflessione: oggi ci sono tutte le condizioni per poter entrare nella compagine societaria come singoli individui o come rappresentante di una azienda senza doversi svenare. La società si regge su un asse portante (Amadei-Salerno) che ha il 51% e poi vi sono 10 soci reggiani con il 49% con quote minime tanto che la media è del 5%. Vi sono raffigurate imprese importanti come Conad, aziende private come Sarchio, It Sport, Modulcasa e privati quali Giuseppe Fico, Luca Quintavalli (la novità che è a titolo personale e non più come Olmedo) Mauro Carretti, Cristiano Giaroni e Gianni Perin. Si può parlare di un azionariato diffuso e che consentirà di sopportare il peso del preventivato disavanzo di gestione. Facciamo un esempio: se a fine stagione la perdita d’esercizio sarà di un milione, Amadei-Salerno metteranno sul tavolo 510 mila euro mentre ai soci reggiani (facciamo per tutto i 5%)  toccherà sborsare 50mila euro. Una cifra che è alla portata di molti imprenditori reggiani. E più la “torta” verrà allargata e meno inciderà sul portafoglio dei singoli soci.

Ovviamente è necessario tenere un elemento fondamentale: il rigido rispetto del budget. E’ questo il fattore che può mantenere in piedi la “casa granata” o far crollare tutto.
Ricreare quelle condizioni per cui era nata “Iniziativa Tricolore” che ricordiamo aveva raccolto attorno a un tavolo le più importanti imprese private e alcuni importanti cooperative.
“Quando a sollevare un tavolo siamo in tanti, diventa più leggero” era il motto del compianto presidente Vando Veroni. E in effetti quella esperienza calcistica, che partiva dalla serie C2, ebbe successo all’inizio salvo poi arrivare alla conclusione per un motivo ben preciso: il mancato rispetto del budget. Questo è un errore che nessun dirigente deve commettere. Ma l’idea di essere in tanti, magari amici, attorno a un tavolo è vincente. Il famoso Quadrunvirato che poi era stato allargato, ha retto le sorti del club per anni, anche se era un calcio diverso sotto tutti gli aspetti.
In questi ultimi anni la Reggiana ha sperimentato la gestione di “un uomo solo al comando” che ha dato certamente una buona operatività ma da un punto di vista economico ha creato dissesti. E in serie C è conclamato che la società va in perdita. Certo, dipende da quanto occorre ripianare a fine anno ma in ogni caso dover sborsare uno o due milioni (vedi gestione Coop con Iniziativa Tricolore o la presidenza Compagni)  o sei milioni di euro (come è successo a Mike Piazza) non è sostenibile.
Se andiamo ad analizzare la gestione Sacchetti (Cantine Riunite, spalleggiato dai privati Vando Veroni, Gianfranco Morini e alcune cooperative come Transcoop) dobbiamo per forza evidenziare come quella Reggiana si autogestiva in virtù dei proventi derivanti dalle cessione dei giocatori. Il presidente Fiaccadori attraverso il ds Renzo Corni si autoalimentava di risorse economiche attraverso la cessione, ogni anno, di un pezzo pregiato. Ma era un calcio mercato che lo consentiva, con una Reggiana in serie B. La cessione di Silenzi al Napoli, ad esempio, per 6 miliardi di lire  fu il picco di introiti dal mercato ma non da meno furono le cessione di Paganin, Francesconi, Villa, Ravanelli (a parametro) Nava, Melchiori e tanti altri che approdarono in serie A. Oggi non è più possibile. Non a caso quando arrivò la serie A  la società cedette il club a Franco Dal Cin. Anche il manager friulano è riuscito a governare la Reggiana e la costruzione dello stadio Giglio grazie al mercato ma quando la squadra precipitò in serie C e gli venne negato il permesso di costruire i Petali, fu costretto a passare la mano.
La gestione Cimurri-Foglia sfruttò i proventi della cessione dell’area attorno al campo per la costruzione dei Petali. Ma fu una gestione troppo allegra e culminata con il fallimento e la condanna a Foglia di 4 anni.
La gestione Barilli è stata quella di un innamorato della Reggiana che ha tentato il grande sogno confidando nell’arrivo a Reggio di un imprenditore. Aveva corteggiato invano Vavassori. All’inizio aveva confidato sulle risorse lasciate nel cassetto dalla cooperazione, poi aveva ricevuto un sostanzioso aiuto da Mapei (prima affitto dello stadio, poi altri 2 milioni in occasione dell’acquisizione all’asta dello stadio come indennizzo per opere di migliorie allo stadio) infine la cessione del club a Stefano Compagni.

Questo, in sintesi, ciò che è accaduto nella stanza dei bottoni negli ultimi 40 anni.

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